Quegli indigeni dei lieviti

Quando vogliamo cucinare qualcosa di buono e fatto con le nostre mani, ci viene subito in mente il pane, la pizza o un bel dolce. Basta un po’ di lievito (di birra nei primi due casi, vanigliato nell’ultimo) e quasi davanti ai nostri occhi l’impasto della pizza lasciato a riposare qualche ora aumenta di 2/3 volte il suo volume, stessa cosa per il dolce messo a cuocere nel forno. Si tratta della fermentazione, il processo di trasformazione degli zuccheri presenti in anidride carbonica ed etanolo, che avviene grazie all’uso dei lieviti. Ma cosa succede quando per ottenere un prodotto “fermentato” non è più possibile stabilire ad occhio nudo se i lieviti stanno funzionando e se il nostro lavoro è stato ripagato? Perché non tutto ciò che è visibile ad occhio nudo implica che la fermentazione stia avvenendo e stia portando al risultato atteso. Cerchiamo di scoprire qualcosa in più su quei microorganismi essenziali per la trasformazione di prodotti che finiscono sulle nostre tavole: lieviti e batteri lattici

Una fermentazione innovativa

In questa storia d’innovazione vi vogliamo parlare di altri lieviti, o meglio dei lieviti indigeni: non sono quelli che si trovano in commercio, ma sono importanti per contrastare la tendenza ad appiattire e rendere molto simili i sapori degli alimenti e delle bevande nei normali processi alimentari industriali. Questi lieviti indigeni, ovvero appartenenti a popolazioni locali di lieviti, sono molto innovativi e nel nostro caso riguardano il settore enologico, uno dei tanti all’interno dell’universo agroalimentare su cui FoodMicroTeam, spin-off dell’Università di Firenze, lavora. FoodMicroTeam aiuta le imprese che lo desiderano, in questo caso specifico appartenenti al settore viti-vinicolo, ad abbandonare agenti fermentativi diffusi sul mercato e molto standardizzati per passare a lieviti indigeni, autoctoni, ed attuare la fermentazione alcolica. Ed il vino che si ottiene è buono? Non sempre. Dipende essenzialmente dalla fermentazione e dai lieviti presenti, che influenzano il risultato finale e quindi la gradevolezza o meno della bevanda.

Proviamo a spiegare meglio questo concetto. L’uso dei lieviti indigeni può avvenire lasciando che il mosto fermenti da solo grazie ai lieviti indigeni presenti e guidando la loro attività, o selezionando quelli tecnologicamente migliori ed utilizzandoli come starter, ossia come microorganismi selezionati che innescano il processo fermentativo, invece dei preparati commerciali. Queste due tecniche permettono di esaltare le caratteristiche di quell’uva per creare un prodotto unico nel suo genere.

Si evita così di usare starter commerciali diffusi ovunque nel mondo e isolati per lo più da vini francesi, australiani, americani. Questi preparati rendono la gestione dei processi fermentativi più semplice perché diminuiscono il rischio di arresti fermentativi indesiderati; allo stesso tempo però si riduce la biodiversità microbica e quindi anche le diversità tra un vino e l’altro a scapito della tipicità di una certa area. FoodMicroTeam interviene in questo processo selezionando per le loro caratteristiche enologiche alcuni ceppi tra quelli dominanti e ricorrenti negli anni che diventano i lieviti tipici della cantina. Le aziende possono così valorizzare la tipicità dei loro vini senza rinunciare ai vantaggi pratici rappresentati da una fermentazione gestita con preparati starter.

Facile? Più a dirsi che a farsi. Non basta isolare alcuni ceppi appartenenti alla specie di lievito Saccharomyces cerivisiae da una fermentazione naturale, ovvero lasciando il mosto d’uva a fermentare senza integrazioni con starter commerciali. Come si procede? Prendendo tutto il tempo necessario per analizzare, controllare e testare il processo, seguendo il ciclo del vino. Si parte dai processi di fermentazione naturale in cantina o dalle uve, poi in laboratorio si studiano e si isolano i lieviti e se ne analizza il DNA per individuare quelli indigeni della cantina, tra cui vanno scelti quelli capaci di portare in fondo la fermentazione e l’impronta che si vuole dare al prodotto finale. Devono essere selezionati i ceppi di lieviti geneticamente diversi dagli starter normalmente usati dalla cantina e con specifiche caratteristiche tecnologiche (velocità di fermentazione, incapacità di produrre sostanze organolettiche indesiderate, etc.) tramite analisi microbiologiche, biomolecolari e chimiche. Infine dal laboratorio si passa alla cantina per verificare che quanto testato sia effettivamente replicabile e che il risultato sia effettivamente quello desiderato.

Sfide, difficoltà e soddisfazioni di uno Spin off

Simona Guerrini ci racconta che FoodMicroTeam ha partecipato nel 2013 al percorso di pre-incubazione e dal 2014 è uno Spin off Accademico dell’Università degli Studi di Firenze, con Professori proponenti Massimo Vincenzini e Lisa Granchi. Il gruppo, lei compresa, è formato da microbiologi, agronomi, enologi, chimici e tecnologi degli alimenti afferenti al Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) che forniscono assistenza tecnico-scientifica alle aziende agroalimentari, nello specifico a quelle che producono bevande ed alimenti fermentati.

Dal 2016, anno in cui FoodMicroTeam ha partecipato alla prima edizione del progetto Faber, vincendo, è stato possibile includere nel team una ricercatrice dell’Università di Firenze, la Dott.sa Donatella Ganucci. Il progetto Faber nasce per diffondere la cultura della ricerca nelle piccole e medie imprese attraverso un’azione concreta di inserimento di personale qualificato, che sia in grado di attivare percorsi di ricerca e sviluppo nelle aziende. Nel caso specifico, l’assunzione della ricercatrice è basata su un progetto triennale, già rinnovato alla fine del primo anno, per condurre studi riguardanti l’isolamento di lieviti indigeni di cantina, nonché la loro caratterizzazione genetica e tecnologica per il loro impiego come starter. Lo scopo finale, grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari Alimentari e Forestali (GESAAF), è quello di mettere a punto un impianto direttamente in cantina per la produzione massiva dei lieviti indigeni adeguatamente selezionati in modo da poterli usare come starter. Tale collaborazione è nata in occasione del progetto Sottomisura 16.2 PSR 2014-2020 della Regione Toscana (titolo: Filiera corta produttori fra Arno e Sieve – azione 16.2: Produzione in cantina di lieviti starter autoctoni: VICASTART).

Alla luce di quanto sopra, un motivo di soddisfazione per tutto il team di FoodMicroTeam è sapere di aver trasformato un percorso universitario in un’azienda che cresce in un momento economico in cui diventare imprenditori è una scelta impegnativa da fare. E’ un esempio di resilienza sul territorio che può ispirare tante persone a cercare ed a trovare la loro strada.

Conclusioni

Il tempo fugge, ma in questa storia d’innovazione ha un lungo corso. E’ interessate sapere che le prime tesi di dottorato sui lieviti indigeni di cantina e sulla loro selezione condotte dal GESAAF risalgono a oltre 15 anni fa. Perché allora questi argomenti si sono diffusi solo da qualche anno? La spiegazione è che il gap tra le attività operative e la parte di ricerca è sempre stato non trascurabile, creando come effetto un ritardo nella comprensione e nella conoscenza dei processi. Il merito del cambiamento di traiettoria, portando le aziende verso la frontiera delle ultime scoperte scientifiche ed improntando un percorso di avvicinamento verso le nuove conoscenze e la cultura accademica, è del trasferimento tecnologico e di un numero sempre maggiore di laureati che, entrando nelle aziende, hanno portato un approccio più scientifico ed orientato alla ricerca, riducendo i limiti della non-conoscenza. In tutto ciò c’è anche un po’ di moda? Si, se viene intesa come attenzione crescente per l’origine e la qualità dei prodotti locali e dei processi per ottenerli. Ma la moda non deve essere confusa con la diffusione delle conoscenze scientifiche mature, la maggiore consapevolezza dei produttori ed il trasferimento di informazioni verso i consumatori: solo così è possibile apprezzare meglio il valore del territorio racchiuso dentro una bottiglia da 75 cl di nettare dai mille colori e dalle mille storie.

 

Contatti di progetto

Faber è un progetto di Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, Confindustria Firenze e Fondazione per la Ricerca e l’Innovazione. Per maggiori informazioni scrivi a info@progettofaber.it o visita il sito https://www.progettofaber.it/

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